Seguici sui nostri social

Stai cercando qualcosa in particolare?

STORIE DI MAMME

Non categorizzato, Storie di Mamme

STORIE DI MAMMA: LIVIA

Ciao io sono Livia, sono la mamma di Teodora e sono una mamma senza più sensi di colpa.

Sono diventata mamma a 40 anni ed ero un dirigente di una società di servizi. Dico ero perchè ora non lo sono più, ma andiamo con ordine.

GRAVIDANZA E ALLATTAMENTO

Durante la gravidanza non ho avuto particolari problemi perciò ho potuto lavorare fino alla data del parto – che tra l’altro è avvenuto di sabato. Una volta partorito ho usufruito del congedo obbligatorio di 5 mesi e ne ho utilizzato anche un sesto per arrivare allo svezzamento. Per fortuna avevo chiesto e mi era stata accordata dall’azienda, la possibilità di continuare a ricevere e controllare le mail, anche per poter gestire da remoto il lavoro dei miei collaboratori senza perdere del tutto il polso del lavoro, dei progetti e dei target.

Al mio rientro in ufficio ho avvertito subito che qualcosa era cambiato. Quando ho chiesto di usufruire del diritto all’allattamento – che in pratica consiste in una riduzione dell’orario lavorativo giornaliero incastrando prima, dopo o durante, due ore per allattare la mia piccolina, ho incontrato molte resistenze.

QUESTIONE DI TARGET

Chiaramente nessuno si poteva opporre al diritto all’allattamento ed essendo una dirigente ho sempre avuto chiare le priorità lavorative, infatti sia durante la maternità che durante questo periodo di allattamento che mi permetteva di uscire dall’ufficio prima rispetto ai colleghi, la sera mi rimettevo a lavorare e non ho mai “bucato” una scadenza.

Agli occhi dell’azienda non era comunque accettabile che una dirigente dedicasse così “tanto” tempo alla famiglia perciò hanno iniziato ad affidare alla mia squadra progetti sempre meno significativi, tanto che alcuni dei miei collaboratori hanno chiesto di essere trasferiti ad altri team.

Arrivati al terzo anno di Teodora, ero rimasta con una sola collaboratrice e nonostante il rispetto dei target e del budget, agli occhi di tutti eravamo il team più “sfigato” – passatemi il termine.

FARE ALTRO

Con mio marito ci siamo confrontati e abbiamo deciso che fosse meglio per me lasciare quel posto di lavoro per cercare altro.

Non è stato facile e dopo molti colloqui per posti di lavoro per i quali ero “troppo qualificata” ho deciso di aprire una partita iva ed avviare un progetto mio, di servizi di consulenza. Adesso ho due ragazze che lavorano per me, una di loro è mamma da prima di me l’altra è diventata mamma due mesi fa: ebbene sì: l’ho assunta mente era nientepopodimenoché incinta. Ho impostato il lavoro per obiettivi e riusciamo a fruire tutti dei benefici della flessibilità alternando i nostri turni di presenza nel piccolo ufficio che abbiamo preso e le nostre ore da remoto. Abbiamo preso un ufficio con una piccola stanza in più che abbiamo sistemato con giochi e tappeti, perché ci è capitato di portare in ufficio i nostri bambini e prendere una babysitter per accudirli mentre eravamo impegnate a chiudere offerte o progetti. Siamo molto unite e molto motivate e devo ringraziare mio marito per essere sempre al mio fianco e la precedente azienda per avermi obbligato a fare altro, perché evidentemente altro si può fare, soprattutto rispettando le esigenze di tutte le persone che lavorano con passione.

GIORNATA TIPO

Le nostre giornate tipo, prima erano al limite della follia:

sveglia alle 6:00 preparazione di tutto, dopodiché lui portava Teodora al nido mentre io volavo in ufficio per attaccare alle 8:00 in modo da poter uscire alle17:00 nella normalità. Uscita dall’ufficio mi precipitavo a casa dei miei che nel frattempo erano andati a recuperare Teodora al nido alle 15:30. Le poche ore che restavano prima di crollare addormentati cercavo di trascorrerle giocando con lei ma non erano abbastanza, lei era stanca e io sentivo che avrei voluto fare di più come mamma. Dopo averla addormentata mentre mio marito rassettava la casa, spesso tornavo a dedicarmi alle cose di lavoro.

Adesso attacco sempre verso le 8:00 a lavorare, lavoro ininterrottamente fino alle 15:00 dopodiché vado a prendere Teodora a scuola e passiamo 4-5 ore insieme. Quando lei va a letto io sono nel pieno delle mie energie perché so che lei è più serena: il tempo che passiamo insieme soddisfa entrambe, possiamo parlare, fare cose insieme. Nei pomeriggi che fa attività chiedo ai miei di portarla loro all’attività così riesco a lavorare altre 3 ore, altrimenti dopo averla messa a letto se ho scadenze o progetti da terminare mi ci dedico.

Alla fine le ore che lavoravo prima le lavoro anche adesso, ma ho la possibilità di gestire il tempo in modo più umano e riesco a dedicarmi alla famiglia senza avere più sensi di colpa.

Sarebbe bello nel 2024 poter dire che le aziende sostengono le famiglie e la genitorialità, ma nella maggior parte dei casi non lo fanno, un po’ per paura di “quelli che potrebbero approfittarsene” un po’ perché lo stato non dà alle aziende sufficienti strumenti (soprattutto fiscali) per poter decidere di sostenere le proprie persone.

IL PUNTO DI VISTA HR

La storia di Livia offre un’importante riflessione dal punto di vista delle risorse umane. Livia, una dirigente che ha dovuto lasciare il suo lavoro per avviare un’attività in proprio, ci mostra quanto sia cruciale la flessibilità per le madri lavoratrici. Durante la sua gravidanza e il periodo di allattamento, Livia ha cercato di mantenere un equilibrio tra le sue responsabilità professionali e quelle familiari, ma ha incontrato resistenze e una mancanza di supporto da parte della sua azienda.

Dal punto di vista delle risorse umane, è fondamentale che le aziende sostengano la genitorialità e offrano una buona dose di flessibilità alle madri lavoratrici. Questo non solo aiuta a mantenere un ambiente di lavoro positivo e inclusivo, ma può anche migliorare la produttività e la soddisfazione dei dipendenti. Le aziende dovrebbero considerare l’implementazione di politiche che permettano alle madri di gestire meglio il loro tempo, come la possibilità di lavorare da remoto o di avere orari flessibili.

Inoltre, lo stato dovrebbe sostenere le aziende con adeguati strumenti, anche fiscali, per incentivare queste pratiche. Non tutti possono permettersi il lusso di mettersi in proprio come ha fatto Livia, e quindi è importante che ci siano misure di supporto per aiutare le aziende a sostenere i loro dipendenti genitori.

Infine, è importante rivalutare il rapporto tra ore lavorate e produttività reale. Livia ha dimostrato che, nonostante le ore ridotte, è possibile mantenere alta la produttività se si lavora in modo efficiente e con flessibilità. Le aziende dovrebbero quindi concentrarsi più sui risultati e meno sulle ore lavorate, promuovendo un ambiente di lavoro che valorizzi la qualità del lavoro piuttosto che la quantità.

INVIA LA TUA STORIA A STORIE DI MAMME CLICCANDO QUI

inviaci la tua storia

Lascia un commento
Subscribe
Notificami
guest
0 Commenti
Oldest
Newest Most Voted
Inline Feedbacks
View all comments
Advertisement

Articoli correlati

Storie di Mamme

Ciao, mi chiamo Stefania, ho 40 anni, sono la mamma di Ismaele e Orlando e sono impiegata da 10 anni come coordinatrice in un’azienda...

Storie, Storie di Mamme

Sono Nicoletta, ho 34 anni, sono la mamma di Giorgia 3 anni e in dolce attesa della seconda bimba Giulia. Se dovessi descrivermi con...

Storie, Storie di Mamme

Sono Flora, ho 45 anni e due figli: Lidia di 10 anni e Marco di 5.Se dovessi pensare a una parola per definirmi come...

Storie, Storie di Mamme

I DILEMMI DELLA MATERINTÀ Generare o Non Generare, e se generare, quando generare, quanto generare, e dopo che si è generato: Lavorare o non...