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STORIE DI MAMME

Storie, Storie di Mamme

STORIE DI MAMME

I DILEMMI DELLA MATERINTÀ

Generare o Non Generare, e se generare, quando generare, quanto generare, e dopo che si è generato: Lavorare o non lavorare? Esserci o non esserci? tutti questi e molti altri sono i Dilemmi della maternità nel 2024.
Le statistiche parlano chiaro, l’Italia è, ormai da tempo, ai minimi storici con un tasso di natalità del 1,20 che si accompagna con un tasso di abbandono del lavoro da parte di 1 madre su 5…insomma, sembra che non riusciamo a trovare soluzioni che possano rendere più sostenibile la vita di una mamma e, di conseguenza, dei genitori in generale.
Per approfondire questi temi, GBSAPRITALK lancia oggi la rubrica “Storie di Mamme”. L’indagine è iniziata a luglio, ed è ancora in corso, attraverso la raccolta di interviste anonime tramite un form. Se volete inviarci il vostro contributo e partecipare a questo progetto potete cliccare questo link: www.gbsapritalk.it o inviarlo ad altre mamme che potrebbero essere interessate.

L’obiettivo è quello di rappresentare attraverso il vissuto di quante più mamme possibili, la difficoltà di conciliare la vita familiare con quella lavorativa. La rubrica si rivolge a mamme che siano lavoratrici dipendenti impegnate ogni giorno nel difficile ruolo di equilibriste per gestire la cosiddetta quotidianità.
Certamente anche le mamme lavoratrici autonome sono equilibriste di primo livello, con un bassissimo grado di “tutela” che speriamo si riesca a colmare nel prossimo futuro, ma proprio per il concetto di autonomia, diciamo che possono essere più “agili” negli slalom quotidiani.

Non è, pertanto, nostra intenzione sottovalutare le difficoltà delle mamme lavoratrici autonome, ma quello che intendiamo ricavare è:

  • una rappresentazione delle varie sfaccettature in cui le aziende possono sostenere le proprie mamme lavoratrici
  • spunti di progetti aziendali realizzabili per migliorare l’equilibrio vita lavoro delle mamme negli anni cruciali dello sviluppo dei bambini
  • idee e riflessioni sulle responsabilità aziendali sul lato sociale

CAMPI DI INTERVENTO

Le soluzioni a livello governativo, ma anche a livello aziendale, che potrebbero andare a semplificare la gestione del lavoro e della maternità sono varie e variegate. Ci riferiamo ad esempio:

  • al Congedo parentale, il cui frazionamento in unità di ore, anziché in mezze giornate, può essere gestito in modo più flessibile rispetto a quanto previsto dalla maggior parte dei contratti nazionali del lavoro;
  • al tempo dell’allattamento, che attualmente è previsto soltanto fino al compimento del primo anno de* figl*, mentre l’OMS e molte altre autorità competenti nel campo medico-nutrizionale consigliano, ove possibile, di prolungare l’allattamento al seno fino ai 2 anni di vita
  • Alla flessibilità che potrebbe essere accordata alle mamme lavoratrici per i primi 5 anni di vita de* propri* figl*, o almeno per i primi 4, chiaramente a seconda dei ruoli, delle funzioni ricoperte e del tipo di lavoro;
  • All’ormai ben noto smartworking che potrebbe aiutare le mamme con bambin* a gestire il proprio lavoro e il proprio tempo da mamma senza ledere la propria produttività, e anzi, spesso aumentandola, perché come tutti i lavoratori, anche le mamme, se si sentono appoggiate e tutelate dall’azienda per cui lavorano, sono portate a dare il massimo dei risultati e ad aumentare esponenzialmente il proprio “engagement.
  • alla creazione di nidi aziendali o interaziendali che permettano la vicinanza della mamma e de* figli* o, quando questo non sia possibile, alla predisposizione di locali dove si possa lasciare * figl* piccolissimi usufruendo di tate, magari condivise tra più lavoratori.
  • all’estensione del monte ore dei permessi retribuiti ai genitori includendo le ore specifiche dedicate ai c.d. “inserimenti”
  • all’equiparazione della malattia de* figli* e del genitore, consentendo al genitore di potersi assentare dal lavoro in caso di malattia de* figl* senza dover rinunciare alla propria retribuzione, almeno per un numero di giorni all’anno e fino ai 3-5 anni de* figl* (cosa già parzialmente prevista per i lavoratori del settore pubblico)
  • alla possibilità di portare * propri* neonat* in ufficio – con passeggini e/o marsupi – per i primi mesi di vita, periodo in cui fondamentalmente le sue necessità siano dormire e mangiare
  • alla possibilità delle aziende di organizzare o convenzionarsi con centri estivi che permettano ai genitori di gestire i mesi in cui le scuole sono chiuse, cercando di “fare scopa” con le proprie ferie.

MAMME PER SEMPRE

La vita di una donna è letteralmente sconvolta dal diventare mamma, di colpo si ritrova ad avere qualcuno che dipende in tutto e per tutto da lei e certo, nella maggior parte dei casi, ormai, per fortuna, può contare sull’aiuto dell’altro genitore o di qualche parente, ma l’essere mamma è una cosa che – purtroppo – non può essere delegata. Sebbene in quanto mamma sia “assunta a vita” il suo impegno nelle situazioni “normali” va via via scemando. Immaginando che le ore di attività reali (tolte ipotetiche 8 ore di sonno) possano essere almeno 16 sulle 24 totali di una giornata, potremmo dire che:

  • nei primi 6-8 mesi di vita d* figl* una mamma è praticamente impegnata al 100% – 16 ore su 16 – perciò la c.d. maternità obbligatoria di 5 mesi (con stipendio diciamo “pieno”) è già di per se insufficiente a garantire un buon “inizio” di vita d* figl*, e la maggior parte delle mamme deve scegliere di utilizzare altri mesi di maternità c.d. facoltativa in cui il suo stipendio scende al 30% (ad eccezione di quanto previsto per i nati nel 2023, le cui madri si sono viste riconosciute a livello nazionale altri 2 mesi di maternità con stipendio all’80% da fruire entro l’anno solare 2024)
  • dal 7°-9° mese fino al 15° l’impegno della mamma scende al 70% (11 ore su 16) * bambin* comincia a poter trascorrere qualche ora lontano dalla mamma con qualche altra figura di riferimento.
  • dal 15° al 36° scende al 50%, (8 ore su 16), i bambin* cominciano a sperimentare le proprie autonomie e riescono a stare sempre più a lungo lontano dalla mamma
  • dai 3 anni in poi

PROBLEMI OGGETTIVI

Secondo questi ragionamenti astratti fatti su carta, dai 15 mesi de* figl*, ammettendo che * figli* vadano al nido (o abbiano qualcuno che badi a loro), e che nel tempo trascorso coi figli, la mamma riesca anche a dedicarsi alle necessità quotidiane come spesa, rassetto, stiro etc (o che comunque abbia un aiuto che provveda al mantenimento della casa in modo da potersi dedicare adeguatamente a* figl*) la stessa mamma potrebbe avere almeno 8 ore da dedicare al proprio lavoro (al netto di spostamenti e pranzo). Questa potrebbe essere una bella realtà, il problema però è che gli orari non coincidono per niente.
Ipotizziamo insieme:

  • le scuole aprono alle 8:00 e chiudono nella maggior parte dei casi verso le 16:00/17:00 (se * bambin* riescono ad essere presi nel c.d. tempo pieno);
  • gli uffici aprono tra le 8:00 e le 9:00 e contemplano nella maggior parte dei casi 8 ore di lavoro più una di pausa pranzo (obbligatoria nei casi di turni di lavoro superiori alle 6 ore)

Già qui emerge l’impossibilità per un genitore di andare ad accompagnare * figl* a scuola, andare al lavoro e tornare in tempo per riprenderl*. A traffico zero e con la scuola nello stesso edificio dell’ufficio (piuttosto improbabile) il genitore avrebbe comunque un’ora di ritardo rispetto alla fine della scuola. Non sarebbe possibile neanche se uno dei due genitori accompagnasse * figl* e l’altro lo andasse a prendere, poiché le ore lavorative sono sempre 8+1 di pausa pranzo e gli uffici aprono e chiudono più o meno agli stessi orari.

Quindi le 8 ore da poter dedicare al lavoro dovrebbero poter essere frazionate. La mamma potrebbe lavorare dalle 8:30/9:30 alle 15:00/16:00 senza pausa pranzo, dedicarsi ai figli fino alle 20:30/21:00 e poi tornare a dedicare al lavoro per 1 ora o 1 ora e mezzo mentre i figli dormono la sera o la mattina presto, tipo cominciando a lavorare alle 6:00, o utilizzare per lavorare anche il tempo in cui i figli sono coinvolti in attività sportive o ludiche extra orario scolastico.

Questo discorso parte dal presupposto che si pensi che sia davvero ancora necessario lavorare per 8 ore in un mondo in cui, ormai, le procedure e le prassi sono sempre più velocizzate dalle tecnologie. Cose che prima richiedevano ore di lavoro e potevano giustificare un tempo di lavoro così esteso adesso richiedono pochi minuti, il che potrebbe permettere alle aziende di considerare la riduzione dell’orario lavorativo mantenendo l’efficienza operativa negli orari necessari all’azienda stessa, organizzando eventualmente più turni tra i suoi lavoratori – e nello stesso tempo rivalutare positivamente il valore del tempo lavorato non riducendo gli stipendi dei lavoratori.

Molte aziende hanno già adottato settimane da 32 ore, che, se spalmate sui 5 giorni di lavoro sembrano avvicinarsi ad una soluzione.

QUALCHE RIFLESSIONE

La prima riflessione che ci viene in mente ce la suggerisce la recente pandemia: come mai, infatti, durante questo periodo è stato possibile per la maggior parte dei lavoratori organizzare il lavoro in modo autonomo e raggiungere gli obiettivi di business nonostante non si andasse materialmente in ufficio e si potesse gestire lavoro e famiglia addirittura da casa?
Alcune aziende, come dicevamo prima, hanno messo a frutto l’esperienza del Covid, e, ad emergenza finita, hanno ridotto gli orari di lavoro dei propri dipendenti senza intaccarne le retribuzioni, altre hanno imparato ad essere resilienti e hanno fatto largo uso della flessibilità introducendo (finalmente) il processo di lavoro per obiettivi – possibile per moltissime funzioni. Molte altre aziende, però, una volta finite le disposizioni emergenziali è semplicemente tornata al punto di partenza come se non fosse successo nulla.

QUESTIONE DI FLESSIBILITÀ

Sarebbe opportuno, analizzare caso per caso, ma genericamente parlando, l’orario di lavoro di almeno uno dei due genitori di bambini al di sotto dei 10 e forse anche dei 12 anni dovrebbe poter essere gestito con la massima flessibilità.

Potremmo considerare i primi 2-5 anni più intensi e i secondi 5-7 anni meno totalizzanti, come anni cruciali perché pongono le basi degli adolescenti prima e degli adulti poi, che diventeranno i figli.

Molte donne tutt’ora sono – di fatto – davanti al grande bivio: lavorare o fare la mamma? In alcuni casi lavorare vuol dire utilizzare il proprio stipendio per pagare tate e babysitter che possano crescere i figli al posto loro. Altre volte – non così rare come si possa pensare – nelle aziende si verificano veri e propri episodi di mobbing e pressing verso le neo-mamme.

Tutto ciò non fa che peggiorare la condizione della mamma che, oltretutto vive con una buona dose di senso di colpa il fatto di non potersi dedicare davvero alla crescita dei propri figli, e pur convinta che sia “la” scelta giusta, come ogni scelta prevede il sacrificio di qualcosa a beneficio di altro.

Ogni mamma è – a suo modo – un’equilibrista, spesso può contare su una rete di aiuti familiari, o a pagamento, ma certamente non potrà vivere serenamente la propria maternità se non si vedesse riconosciuto il diritto e la possibilità reale di fare anche la mamma.

DAL DIRITTO ALL’OBBLIGO

Negli anni ’50 e ’60 le donne fondamentalmente facevano le casalinghe, fino anche agli anni ’70/’80 una famiglia riusciva a vivere o a sopravvivere con un unico stipendio che nella quasi totalità dei casi veniva portato a casa dal padre. Per fortuna lotte politiche impegni sociali etc hanno esteso alle donne il c.d. diritto al lavoro e via via molti altri traguardi sono stati raggiunti. Ora, senza soffermarci sulle implicazioni sociali della parità di genere che aprirebbero un capitolo enciclopedico, siamo alla situazione antitetica, dove il diritto al lavoro è diventato un obbligo a lavorare per donne e uomini poiché altrimenti non si riesce proprio a sopravvivere, ma nell’ambito di questo obbligo a lavorare, occorre disciplinare e garantire tutti gli altri diritti umani, a partire dalla maternità e dalla genitorialità.

RESEPONSABILITÀ SOCIALI

Che poi…fare la mamma e fare i genitori è crescere persone, è una responsabilità sociale, non è un caso che le iniziative a sostegno di donne e madri siano di fatto entrate nel raggio di analisi della sostenibilità aziendale, perché tra le responsabilità sociali indirette delle aziende rientra anche quella della crescita dell’umanità, o almeno di quella parte di umanità che deriva direttamente dai propri dipendenti (madri o padri che siano).

E allora ecco che “Storie di mamme” vuole essere un contenitore di idee e spunti per le aziende che intendano assumersi le proprie responsabilità sociali e intraprendere progetti non onerosi o a basso costo che generino però alti impatti nel welfare e nell’engagement dei propri dipendenti, che nella stragrande maggioranza dei casi si tradurranno in maggiore produttività dei dipendenti in questione, che nei casi analizzati siano mamme e genitori.

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