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Le indagini di RM

IL CASO DELLA RSA DI VIGEVANO

Racconto di una visita istruttiva ad una RSA di Vigevano

Mentre viaggiavo, facendomi pacatamente guidare per una volta dalla sinuosità della strada provinciale piuttosto che, come al solito, aggredirla in una frenesia tutta lombarda, pensavo a quel vecchio libro di Umberto Simonetta “I viaggiatori della sera” che tanto mi aveva colpito almeno quarant’anni prima.

“Per fronteggiare il problema del sovrappopolamento, una recente legge ha stabilito che ogni cittadino, al raggiungimento del 50° anno di età deve, sotto la sorveglianza del cosiddetto Esercito della Salute Pubblica (ESP), trasferirsi in un villaggio-resort, per trascorrervi quella che è definita una vacanza.

Due coniugi coetanei, pur controvoglia, devono raggiungere il villaggio a cui sono stati assegnati, accompagnati nel viaggio dai figli, che invece, perfettamente aderenti al nuovo sistema politico, ritengono assolutamente giusta la nuova legge.

Il villaggio si rivela essere una dorata prigione, la cui vita è dominata da periodiche riunioni in cui è obbligatorio partecipare a giochi di carte e ad una lotteria, con premio la partenza per una crociera: nessuno dei vincitori di queste crociere ha mai fatto ritorno al villaggio; dal che gli ospiti del villaggio deducono che i vincitori in realtà vengano soppressi. Il fatto è accettato con rassegnazione dagli ospiti, che preferiscono svagarsi dedicandosi ad attività ludiche, non ultime quelle sessuali, vissute da tutti in piena libertà”

Umberto Simonetta – I viaggiatori della sera

Il mio pensiero non era troppo strampalato! Stavo infatti andando a trovare il Direttore Generale di una RSA nostro cliente – un ospizio per vecchi, avrebbe detto più brutalmente qualcuno – nella città di Vigevano; quindi un incontro professionale che tuttavia anche questa volta non si sarebbe limitato a questioni assicurative.

D’altra parte – usavo sempre giustificarmi – l’assicurazione è una faccenda trasversale ad ogni cosa, quindi se tratti di assicurazione ti viene spontaneo parlare anche di altro. E il direttore in questo era mio sodale con la sua capacità di debordare ogni volta in argomenti ritenuti scarsamente pertinenti soltanto da gente superficiale. Questa visita era quindi per me un piacere che mi riservavo ogni paio di mesi. Ma stavolta sarebbe stata una visita speciale: la prima dopo il COVID (se veramente potevamo già dire che eravamo nel “dopo Covid”).

LO STRANO CASO DELLA RSA DI VIGEVANO

Certo, pensavo, l’ESP (Esercito della Salute Pubblica evocato dal Simonetta) avrebbe potuto avere nel COVID un eccezionale alleato  riguardo sia la efficacia che la economicità del suo intervento: una soluzione rapida ed un risparmio assicurato (calcolando 1000 vecchi per crociera, si sarebbero risparmiati più o meno i costi di 30 crociere!). Mi pentii subito di questa riflessione blasfema!

Ma con la RSA di Vigevano non c’era stata “trippa per gatti”. Il COVID sembrava averlo intuito ed era girato al largo: non un positivo tra pazienti, mentre addetti, parenti e visitatori sospettati di avere qualche sintomo della malattia erano stati tenuti fuori tempestivamente dalla RSA; non un decesso per cause dirette o collaterali al COVID.

Conoscevo molto bene il sano pragmatismo del direttore- il dott. Andrea Deplano – il suo modo di rendere semplici le questioni più contorte, la sua pacatezza endemica nell’affrontare le difficoltà proprie di un organismo condannato a farsi bastare i soldi – per principio: pochi – che aveva a disposizione. Ritenevo quindi che soprattutto a lui avrebbe dovuto essere attribuito questo risultato eccezionale.

Tuttavia ero curioso di sentire la versione del direttore. Parcheggiata la macchina mi si parò davanti l’edificio dell’Istituto nella sua solita imponenza a metà tra un campus   universitario britannico ed una caserma italiana dei primi ‘900. Percorsi il corridoio della direzione non prima di essere stato sottoposto al controllo della temperatura, fornitura di guanti e controllo della mascherina che indossavo.

Ancora una volta mi stupii per l’assenza di quella miscela di odori intensi composta da essenze di refettorio, da disinfettanti e da quelle più sgradevoli dei bagni che spesso impregnano questo tipo di strutture. Per una volta il direttore mi ricevette quasi subito (fatto inusuale per uno che ha adottato lo stile della “porta aperta”, sempre generatrice di “code” ed attese provocate da priorità più o meno effettive). Tuttavia ebbi il tempo di dare uno sguardo ai quadri appesi nel corridoio.

Questi quadri mi sono sempre piaciuti; mi provocano ancora una emozione, addizionata   dal fatto che erano stati concepiti e realizzati dal signor Bruno Cinquemani, un ospite dell’Istituto che se ne è andato per sempre qualche anno fa. Ritrovo infatti nel suo stile – che sembrerebbe naif – un certo classicismo che mi fa pensare alla scuola italiana del ‘900, in particolare ad Achille Fun. Avevo tentato più volte di procurarmene uno, purtroppo senza successo, commissionandolo direttamente a Lui.

L’INTERVISTA

Entrai nella stanza del direttore e, quasi senza invito, mi accomodai su una sedia davanti alla sua scrivania, tanto traboccante di fascicoli, una specie di trincea davanti a me che mi permetteva di osservarlo a malapena dalle spalle in su.                         

Andai quasi diretto al tema che mi interessava:

Caro dottore, in questo tempo di COVID la nostra deformazione professionale ci ha fatto interessare parecchio alle vicende delle residenze per anziani, istituzioni che noi registriamo in un numero elevato tra i nostri clienti.

Quando abbiamo negoziato il rinnovo delle vostre polizze – in piena emergenza Covid – temevo che avremmo avuto problemi proprio dovuti al virus e invece questo nostro timore è stato spazzato via immediatamente. I timori degli assicuratori non si riferivano soltanto al fronte della responsabilità sanitaria ma soprattutto a quella della responsabilità manageriale/organizzativa.

Questo è stato il motivo per il quale le difficoltà di rinnovo delle coperture hanno riguardato anche le polizze di Responsabilità contabile amministrativa. La cosa che in particolare ci ha stupito, ovviamente in modo positivo, ha riguardato il fatto che il suo Istituto non sia stato neanche minimamente colpito dal virus: nessun ospite, visitatore, dipendente è risultato positivo.

Non è accaduto lo stesso per altre strutture vostre consorelle. Limitandomi alla provincia di Pavia abbiamo letto che si sono avuti 318 decessi in residenze per anziani e che 35 residenze in questo momento sono sotto inchiesta. La sua struttura, contro corrente, esce indenne da questo uragano. Non possiamo quindi semplicisticamente attribuire questo risultato al caso o ancor meno alla dea Fortuna

E’ invece legittimo chiedersi e chiederle: perché?

Il direttore: ho una mezz’ora da dedicarle; purtroppo non di più; spero che sarà sufficiente perché la sua domanda è veramente “stuzzicante” ma pretende una risposta articolata. Mi faccia in primo luogo rappresentare la nostra realtà.

Nella struttura sono assistiti un po’ più di 100 ospiti; il personale in totale ammonta a circa 130 operatori. Abbiamo quindi un rapporto 1/1,3. L’età media dei pazienti supera gli ottanta anni; la stragrande maggioranza non è autosufficiente, oltre il 30% circa ha serie difficoltà ad alimentarsi (ingerire e deglutire).

Tutto questo conduce ad una serie di grosse insidie quali ad esempio le piaghe da decubito che diventano frequenti quando la alimentazione non è idonea e soprattutto povera di proteine. Quando arrivano da noi gli ospiti hanno una aspettativa di vita (statisticamente parlando) che supera di poco i tre anni.

Tutto questo conduce ad una serie di grosse insidie quali ad esempio le piaghe da decubito che diventano frequenti quando la alimentazione non è idonea e soprattutto povera di proteine. Quando arrivavano da noi gli ospiti hanno una aspettativa di vita che supera di poco i tre anni.

Le racconto questo per farle capire che qui anche in tempo di normalità non viviamo una situazione normale. Ma proprio questa è stata la nostra forza: siamo abituati alle emergenze

OK, ma nella sostanza che avete fatto? Quali provvedimenti avete preso?>

Direttore: la premessa era necessaria e la concludo; voglio significare che la mia struttura non ha “il ventre mollo” e il COVID si è trovato di fronte ad un avversario -noi – addestrato al combattimento, allenato alle difficoltà, abituato a gestire le emergenze come normalità. Ritengo che sia stata proprio la elevata qualità diffusa della nostra organizzazione e dello staff che ci ha salvato. L’adozione,effettiva e concreta, dei principi del Risk management ha costituito il nostro primo “muro di sbarramento” all’emergenza. Parlo di aggiornamento professionale dedicato allo staff, del costante adeguamento delle norme organizzative e di comportamento ai rischi individuati, siano essi conclamati ovvero soltanto virtuali.

La qualità emerge quando serve. Spesso in tempi di normalità può apparire eccessiva, quasi fastidiosa perché essa richiede rispetto assoluto delle regole di fronte ad un rischio che non si avverte. Ma vengo alla sua domanda: in primo luogo siamo stati tempestivi. In effetti il COVID è un virus come gli altri e una epidemia in sostanza deve essere combattuta in primo luogo con i sistemi che risalgono alla peste manzoniana. Noi abbiamo messo in campo un fattore addizionale: la tempestività.

Quando molti – la gran parte, compreso i media che parlavano di una influenza un po’ più virulenta – minimizzavano, noi abbiamo agito. Il 24 febbraio abbiamo tenuto un’assemblea generale a tutto il personale; abbiamo illustrato la situazione precisando che avremmo assunto comportamenti orientati alla massima severità di fronte ad un avversario del quale non conoscevamo la potenza di fuoco e la strategia di attacco.   

Contemporaneamente abbiamo fatto provviste di D.P.I. mascherine, guanti calzari, grembiuli e tute. In questo siamo stati implacabili; siamo arrivati per primi e ci siamo presi quello che ci serviva. Ci siamo rivolti a Fondazioni – per esempio Fondazione Comunitaria – ed anche all’ATS Pavia quando ormai le mascherine erano diventate introvabili sul mercato, per ottenere un aiuto e lo abbiamo ottenuto; Ma d’altra parte in una pandemia la prima cosa è proprio “alzare la barriera”.

Abbiamo effettuato una serie di riunioni ristrette nelle quali abbiamo stabilito le regole che sono diventate subito circolari, illustrate sul campo dai responsabili. La Condivisione è stato un altro fattore di successo. Abbiamo spiegato la situazione agli ospiti ed ai parenti. Abbiamo assunto iniziative rigide circa la gestione della struttura finalizzate a renderla impermeabile all’esterno. L’assessore ai Servizi Sociali del Comune di Vigevano, dottoressa Antonietta  Moreschi, ci è stata di particolare sostegno sia dal punto di vista clinico che organizzativo, vista la sua esperienza di medico di igiene pubblica dell’ASL di Pavia e dell’ASST di Pavia. Tutto questo è stato realizzato in data 27 febbraio.

Quali iniziative ad esempio?

Direttore: ad esempio:

  • assoluto uso dei dispositivi di protezione
  • divieto di accesso ad estranei compresi i parenti degli ospiti; unica eccezione i parenti di ospiti in fine vita, ovviamente con le necessarie precauzioni
  • rinuncia dolorosa al Centro Diurno, la struttura che ospita anziani che non pernottano nella struttura
  • messa in isolamento al loro rientro degli ospiti che hanno necessità di recarsi all’esterno per accertamenti clinici
  • disinfezioni degli ambienti con Ozono prima e poi con Perossido di idrogeno. 

Tutto questo anticipando le disposizioni emanate successivamente dalle Autorità regionali e centrali

Come hanno reagito i parenti degli ospiti e come i dipendenti?

Direttore: riguardo ai parenti debbo confessare che l’impatto all’inizio non è stato di grande cooperazione; ai parenti tutto sembrava una crudele limitazione; ma poi hanno capito che le nostre regole avevano una finalità che non potevano non condividere. Ma abbiamo fatto qualcosa di più; ci rendevamo conto che comunque stavamo incidendo sul loro diritto all’affetto; abbiamo fatto la questua! E una azienda del settore informatico che opera in Lombardia ci ha  regalato un buon numero di tablet; è stata una idea magnifica. Il momento della video/telefonata è diventato un’occasione di svago, di commozione gioiosa per i parenti e per i nostri anziani ospiti.

Invece tutto il nostro personale ha risposto al meglio da subito. Certo all’inizio abbiamo avuto un tasso di assenza più elevato di quello dei tempi della normalità. Ma è comprensibile; i nostri colleghi sono persone comuni chiamati a svolgere un compito non comune; sono mogli, mariti, genitori e figli che hanno vissuto questo dramma da ambedue le parti della barricata. Ma quasi subito lo staff socio sanitario si è compattato e nessuno si è tirato indietro anche davanti a turni di servizio molto impegnativi.

E ora lei come giudica la vostra situazione?

Direttore: ha presente quei film western, quelli che vedevamo da ragazzini al cinema della parrocchia dove nel finale arrivavano sempre “i nostri” a salvare i coloni? Ebbene, ora stiamo vivendo l’esperienza di quei coloni che, dopo aver messo in circolo i loro carri ed aver rintuzzato l’attacco degli indiani, stanno “riprendendo fiato”; siamo un po’ più sereni ma, come i coloni, rimaniamo di guardia; non abbiamo assolutamente abrogato le rigide regole che ci eravamo dati a febbraio.

Bene dottore; spero che i coloni depongano le armi, molto presto, e si torni tutti alla normalità! nel vostro caso avendo combattuto e vinto una battaglia senza aver contato alcun caduto.

Saluto ed esco dal palazzo. Sono un po’ frastornato. Il dottor Deplano mi ha rammentato una serie di principi che hanno un valore universale: la costanza nel conseguimento della eccellenza; la tempestività nell’aggredire i problemi; la difficoltà nel perseguire la condivisione delle idee e insieme la sua forza quando l’hai ottenuta; la ortodossia nel rispetto delle regole.  Ed infine e soprattutto mi ha ricordato una regola generale di vita:” quando hai un problema conta in primo luogo sulle tue forze”!

Mi sembra strano che questi principi mi arrivino proprio da una residenza per anziani. Fino ad ora ho ritenuto una RSA una “bolla” estranea al sistema, generata da nuove esigenze e stili di vita, sopportata dalla cosiddetta società attiva che ha scelto di abbandonare l’istituto della famiglia transgenerazionale creando una soluzione di continuità tra generazioni i cui effetti già cominciano ad essere palpabili (ma quest’ultima è un’altra questione, troppo pesante da affrontare per me).

Con questi pensieri mi rimetto di nuovo in macchina con un po’ di amaro in bocca; per questo divento un po’ più aggressivo alla guida.

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