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I COSTI DELLA TRANSIZIONE ENERGETICA

Nello scenario europeo e mondiale, il recente conflitto tra Russia e Ucraina ha aperto nuove discussioni e prospettive sui costi della transizione energetica.

Che nella prospettiva della globalizzazione ci fossimo sopravvalutati, lasciando in un piano molto remoto i rischi dell’interdipendenza economica ed energetica, era già venuto alla luce durante la pandemia e lo stato di conflitto attuale non fa che confermare questa tesi.

IL CONVEGNO

Comin & Partners ha organizzato una tavola rotonda proprio sul tema dei costi della transizione energetica alla luce del nuovo scenario di guerra. Presentata da Gianluca Comin e moderata da Carlo Macciocco (Quotidiano Energia), alla discussione hanno partecipato:

  • Giovanni Castellaneta – Ambasciatore, Presidente DoValue SpA;
  • Lapo Pistelli – Director Public Affairs, ENI;
  • Luigi Michi – Senior Advisor Key to Energy;
  • Pier Paolo Baretta – Presidente Ass. Riformismo e Solidarietà.

Le tematiche proposte da Macciocco ai relatori sono partite da 3 punti:

  • la diversificazione delle fonti energetiche per “accompagnare” le fasi della transizione energetica;
  • l’impatto della guerra sulla transizione;
  • l’impatto sulla vita quotidiana: costi e occupazione.
DALLA GLOBALIZZAZIONE ALLA VUCA

Nella visione di Giovanni Castellaneta già la pandemia e a maggior ragione la guerra, hanno rivelato la fragilità delle dinamiche caratteristiche della “globalizzazione totale”, dimostrando una debolezza di fondo che ci porta in quella che gli americani definiscono VUCA (Vulnerability Uncertainty Complexity Ambiguity).

La natura del conflitto in questione, che vede elementi della guerra tradizionale con altri di natura moderna e digitale, per ora, sembra inquadrarlo come una guerra a bassa intensità che perdurerà nel tempo. Questo non potrà non influenzare molte dinamiche economiche presenti e future: secondo Castellaneta, infatti, si verificherà una “stagflation” che vedrà grandi investimenti e un significativo aumento di prezzi ma senza la generazione di un aumento di sviluppo economico. Sarà quindi necessario cautelarci garantendo e “coprendo” il rischio.

LA SICUREZZA ENERGETICA

L’intervento di Lapo Pistelli comincia con un paragone ironico ed iconico: siamo nella situazione in cui, mentre prima, a dispensa piena, parlavamo di wellness e corretta alimentazione, adesso che abbiamo scoperto la dispensa vuota, parliamo di mangiare per vivere, ossia di sicurezza alimentare. Analogamente ora, infatti, siamo nella condizione di affrontare i temi legati all’energia secondo le esigenze del bisogno, ossia della sicurezza energetica.

A livello europeo non esiste un mercato unico di approvvigionamento, né un mix energetico unico, ogni Paese ha il suo bisogno e la sua storia energetica. Anche il mercato delle rinnovabili, che pure sta senza dubbio crescendo parla di numeri piccoli: il carbone resta, a livello mondiale, la prima fonte di produzione dell’energia. In Italia la situazione sembra meno nera di quanto non sia stata fin qui dipinta. Gli approvvigionamenti di gas, fonte energetica al momento più discussa, possono definirsi abbastanza diversificati. Infatti questi, pur provenendo per il 40% dal gasdotto russo, possono contare su altre 4 rotte. La soluzione nell’ottica del prossimo futuro potrebbe risiedere proprio nel potenziamento di queste alternative, e nella compensazione delle “mancanze” con il gas liquido di più probabile provenienza algerina.

UNA POSIZIONE STRATEGICA

L’ottimismo sulla posizione italiana, che Pistelli condivide con altri relatori, è fondato anche sulla posizione strategica che la vede nel cuore del mediterraneo e delle rotte-chiave a ridosso dell’Africa, e sulle relazioni e gli accordi che proprio l’Italia mantiene con i paesi africani. Il ruolo italiano potrebbe essere una chiave utile a tutta l’Europa sulle questioni dei “nuovi” bacini di approvvigionamento.

RIVEDERE LE TRAIETTORIE

Luigi Michi introduce una prospettiva che analizza tre narrative:

  • La transizione energetica.
  • La crisi energetica che si era manifestata ben prima del recente conflitto, e che deve le sue origini anche ai mancati investimenti nel comparto energetico e delle infrastrutture, oltre che alla mancanza di autonomia – sia, questa, causa o effetto dei mancati investimenti).
  • Lo shock della guerra e le conseguenze a breve e lungo termine.

Occorre rivedere le traiettorie da seguire per raggiungere l’obbiettivo della decarbonizzazione e della transizione energetica, che pur restando punti cardini a cui tendere, richiedono di utilizzare ancora per un tempo ragionevole le energie fossili e soprattutto il gas. Basti pensare alle rinnovabili, verso le quali sono stati indubbiamente fatti grandi passi – seppur poco evidenti in termini di kilowatt, per capire che ancora c’è tanta strada davanti. Questo soprattutto perché le tecnologie, per diventare parte integrante della “vita” di una società economica devono passare per tre step fondamentali:

  • Maturazione
  • Penetrazione
  • Integrazione
ATTRARRE GLI INVESTIMENTI

Per poter confermare gli obiettivi della transizione energetica occorre anche applicare criteri alternativi agli attuali per attirare investimenti. Né il prezzo in crescita esponenziale né altre caratteristiche del comparto energetico per come viene affrontato oggi, riescono a renderlo appetibile di fronte agli investitori. Il metodo “Short Run Marginal Cost” non sembra quindi funzionare per attirarli, sarebbe forse opportuno, soprattutto per le rinnovabili, applicare i criteri del “real estate”. In altre parole: per gestire le rinnovabili in prospettiva, abbiamo bisogno di risorse programmabili.

UN’IMPRESA EPOCALE CON COSTI NON STIMABILI

La riflessione sugli investimenti ci porta ad analizzare ipotetiche previsioni di costi sull’operazione di transizione energetica locale e globale: un’impresa epocale mai realizzata fino ad oggi nella storia del mondo – secondo Pistelli – della quale nessuno ha davvero contezza.

A ben vedere, si tratta di eliminare tanto le emissioni ereditarie quanto quelle prodotte oggi. Se si pensa ad esempio alla Cina, che oggi è la “fabbrica orientale” dei prodotti dell’Occidente, la maggior parte delle energie ivi utilizzate è ancora di carattere fossile, ma il consumo pro capite di energia dei cinesi è bassissimo, quindi il grosso di queste viene utilizzato per produrre beni di consumo a beneficio di paesi esteri. Inoltre la vera transizione non ha solo costi monetari ma anche culturali, in quanto questa non può essere solo “imposta” dalla politica, ma deve verificarsi nella cultura delle persone, a tal proposito cade bene l’accenno ai due asset del Green Deal:

  • DIGITALE : indubbiamente “market driven” poiché genera facilitazioni alla vita di tutti gli utilizzatori.
  • ENERGETICO : “policy driven” poiché va a mettere in crisi comportamenti e modelli culturali scontrandosi spesso con la praticità e la comodità.
IN CONCLUSIONE

Le conclusioni di Pier Paolo Baretta confermano la sensazione di aver trattato il tema della transizione energetica con troppa disinvoltura, anche grazie al PNRR, sottovalutando insidie e tempistiche. Occorre ora più che mai storicizzare la problematica rimisurandone la progettualità, la logistica e l’efficienza.

Secondo le stime italiane servirebbero 3 punti di PIL (ossia circa 60 MLD) aggiuntivi ogni anno, per raggiungere l’obiettivo transizione energetica nei tempi previsti. La previsione europea è meno aspra, considerando 1 solo punto di PIL (20 MLD), ma in entrambe le previsioni la finanza pubblica non ha i mezzi per sostenere questi costi. Con un’occhio attento al pericolo della “dispersione” bisogna incentivare la creazione di fondi di investimento dedicati.

Per vedere il video della conferenza CLICCA QUI

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