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PARITÀ DI GENERE: LE DONNE IN SANITÀ

Parità di genere: in sanità il 70% della forza lavoro è femminile ma solo il 25% dei dirigenti è donna, un trend da invertire al più presto con politiche mirate.

INTERVISTA A ELENA MARRAZZI, RESPONSABILE COORDINAMENTO NAZIONALE FIALS DONNE.

Nel mondo le donne rappresentano il 39% della forza lavoro, ma detengono solo il 27% delle posizioni manageriali. L’Italia ha registrato un sensibile miglioramento dal 2010 al 2017, grazie all’aumento del numero delle manager negli organi decisionali e nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa, grazie alla legge sulle quote rosa. Ma la media europea è ancora lontana e il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia rimane tra i più alti di Europa: circa 18 punti su una media europea di 10. Prima della crisi pandemica, le occupate erano arrivate al 50% del totale, e ora sono al 48,5% (in Ue il 62%).

Una situazione grave, soprattutto per quanto riguarda le giovani italiane che sono fanalino di coda per tasso di occupazione in Ue, pur essendo in media più istruite degli uomini. E fin quando sarà così, stando a quanto pronostica la Banca d’Italia, il Paese non crescerà. Viceversa il Pil aumenterebbe di 7 punti, se l’occupazione femminile arrivasse al 60%. Quindi le donne sono un acceleratore di crescita, ma nessuno lo ha ancora compreso. Tant’è che durante la pandemia, pur avendo ricoperto un ruolo fondamentale in sanità, le donne sono state quasi totalmente escluse dalla gestione istituzionale di vertice dell’emergenza.

Adesso, con il Recovery Plan, siamo ad un giro di boa: si tratta di un’occasione da non perdere per dare una spinta propulsiva agli investimenti messi a disposizione dall’Europa. Ma come raccordare la Missione Salute con le politiche di genere del Pnrr? Lo chiediamo ad Elena Marrazzi, responsabile Coordinamento Nazionale Donne Fials, all’indomani dell’evento streaming: ‘Parità di genere: promuovere le pari opportunità e implementare le politiche di conciliazione vita lavoro’, durante il quale ha presentato un documento programmatico con i risultati di un sondaggio sulle condizioni di lavoro delle professioniste sanitarie in Italia.

COSA È EMERSO DAI DATI CHE LA FIALS HA RACCOLTO?

Le donne italiane sono agli ultimi posti per tasso di occupazione, ma prime per carico di lavoro familiare, e la situazione si è aggravata sensibilmente per effetto della pandemia, che ha colpito più duramente le donne rispetto agli uomini. In questo quadro generale abbiamo fotografato un microcosmo, la sanità, che è in prevalenza ‘popolato’ dalla forza lavoro femminile (70%), ma riflette lo stesso sovraccarico esistente negli altri ambiti. Emerge che il 56,8% delle professioniste sanitarie – per metà il campione è composto da infermiere, seguite da oss, amministrative, tecnici TSRM, ostetriche e medici – dice di lavorare di più dei colleghi uomini per ottenere gli stessi riconoscimenti professionali, anche rinunciando a vita sociale e carriera pur di prendersi cura dei figli piccoli e degli anziani della famiglia. Per il 30% il lavoro incide sulla propria salute, e la pandemia ha confermato questo drammatico trend. Infatti la fatica fisica segna le lavoratrici, come peraltro cerficano gli infortuni Inail che rilevano malattie muscolo scheletriche in costante aumento, per non parlare degli oltre 110mila contagi Covid che hanno colpito solo la categoria infermieristica. Da notare che l’età media è di 50 anni e corrisponde all’età media di chi lavora nella sanità pubblica. Ciò determina un vulnus per le politiche future e l’assoluta necessità di assumere personale quanto prima. Come se non bastasse, c’è un problema culturale da affrontare: i dati confermano che ancora oggi rimangono stereotipi di genere. Nonostante le donne abbiano avuto riconoscimenti importanti, resta un retaggio culturale che ha a che fare con l’essere donna in sé. Per contrastare tale fenomeno, è essenziale porre in essere misure che aiutino le donne ad accedere e a rimanere sul mercato del lavoro, ma è altrettanto importante incoraggiare gli uomini a farsi carico di una più ampia parte di responsabilità familiari, di cura ed assistenza, per un riequilibrio tra tempi di vita e di lavoro.

CI SONO MISURE DI WELFARE NELLE STRUTTURE SANITARIE PUBBLICHE E PRIVATE?

Quasi nel 38% dei casi le intervistate dichiarano che nelle strutture di appartenenza non vi è alcuna misura di welfare. Un dato allarmante che richiede un intervento immediato, soprattutto per quanto riguarda il sud del Paese. Le aziende in cui viceversa le professioniste affermano che il welfare non manca, sono per la maggior parte nelle regioni del centro (86,7%), seguite subito dopo dal nord (78,8%). Si tratta principalmente di realtà pubbliche che propongono, tra le misure più diffuse: smart working, flessibilità oraria, asili nido aziendali, sconti sui trasporti, centro estivo per i bambini e borse di studio. Ma tutto ciò rimane un miraggio per il restante 62% delle operatrici, che invece si barcamenano con fatica tra impegni dentro e fuori casa. Infatti, più del 40% dichiara che avere un figlio rappresenta un problema per la crescita professionale, percentuale che cresce al 53% quando si tratta di assistere un familiare, specie se disabile e anziano. E nonostante questa situazione, ben il 42,4% dice di non sentirsi discriminata.

SIGNIFICA CHE LE DONNE NON SANNO DI ESSERE DISCRIMINATE?

Evidentemente sì, hanno una scarsa consapevolezza delle disuguaglianze che faticano ad identificare come discriminazioni di genere. É un dato eclatante che descrive quanto al gender gap corrisponda un deficit culturale di difficile sradicamento: dobbiamo lavorare in primis su noi stesse per cambiare approccio, pensando magari a corsi di formazione ad hoc, dedicati ad un ambito prettamente femminile quale la sanità attuale, dove il 70% della forza lavoro è donna, ma solo il 25% occupa posizioni di leadership. Proprio su questo tema nei mesi scorsi abbiamo fatto il punto, cifre alla mano, avanzando le proposte del sindacato per sanare il divario tra uomini e donne nel mondo della sanità, affinchè l’argomento non possa essere trascurato né dalla politica, né dalla comunità scientifica, né dalla società nel suo complesso, essendo un aspetto essenziale della nostra dignità di persone.

CHE RICADUTE HA UNA SITUAZIONE COSÌ TANTO SQUILIBRATA?

C’è una situazione di diseguaglianza diffusa che determina: crescita dei part-time alle donne, in particolare alle madri, con ricadute reddituali penalizzanti; maggior precarietà, sebbene siano spesso più qualificate e capaci; ineguaglianze sul piano retributivo, per via dell’impossibilità ad esempio a fare straordinari, quand’anche a raggiungere ruoli dirigenziali. Solo nel 25% dei casi, lo ribadisco, abbiamo direttori sanitari donne. É urgente che il Pnrr inverta al più presto tale tendenza.

COME ORGANIZZAZIONE SINDACALE AVETE PREPARATO DELLE PROPOSTE?

Sì, come Coordinamento Nazionale Donne Fials, abbiamo presentato un documento a corollario dei risultati della survey ‘Quale parità di genere sui luoghi di lavoro in sanità‘. Lo porteremo sui tavoli istituzionali con le proposte strategiche e le richieste specifiche raccolte sui territori, affinchè a beneficiare delle politiche di conciliazione siano tutti i lavoratori, che si tratti di formule di lavoro flessibili o di servizi personalizzati, a prescindere dallo stato di famiglia o l’età dei figli, in quanto le esigenze delle famiglie non finiscono quando i figli iniziano a frequentare la scuola. Garantire le pari opportunità significa avere la consapevolezza che il gender gap esiste e porre degli strumenti per poterlo arginare. É necessario sostenere le aspirazioni delle giovani lavoratrici attraverso il supporto alla gestione familiare, e nel frattempo bisogna far leva sulla questione culturale incoraggiando i padri, soprattutto nelle aree più depresse del Paese. Occorre realizzare e potenziare, laddove già esistono, gli asili nido aziendali. E si devono implementare: i doposcuola e i centri estivi per i bambini, le borse di studio da destinare ai figli del personale sanitario, i servizi di assistenza familiare rivolta alla terza età, che siano di qualità e di facile accesso. Vengano studiate e proposte anche forme di incentivo ai congedi per motivi di famiglia equamente ripartiti fra i generi. Ma mi consenta di rivolgere un ringraziamento particolare per aver formulato le nostre proposte e strategie antidiscriminatorie di welfare, alle colleghe Mimma Sternativo, segretaria provinciale Fials Milano, e Alessandra Larocca, dirigente segreteria Fials Brindisi; e per l’elaborazione statistica, a Mariele Chirulli, evaluation analyst dell’università Bocconi di Milano. Un dream team tutto rosa.

C’È ANCORA MOLTA STRADA DA FARE SECONDO LEI?

Una società dovrebbe essere attenta ai diritti delle donne, soprattutto per quanto riguarda i diritti volti alla parità di genere, e invece appare evidente che gli strumenti messi in campo, sia a livello politico che economico, sono stati finora largamente insufficienti. La strada è ancora lunga e il tema è fortemente sensibile: le donne italiane sono al 63esimo posto del gender gap, su 156 paesi, e la pandemia l’ha aggravato ancora di più. Siamo tra i peggiori in Europa, ma per colmarlo non possiamo aspettare 135,6 anni. Da professioniste auspichiamo di essere riuscite a fornire, con la nostra rilevazione sui territori, un contributo che possa rispecchiare le difficoltà reali delle donne impegnate in sanità e andare a sanare, per quanto possibile, il divario allarmante che è emerso. Per farlo dobbiamo partire da un assunto: la parità di genere è essere diversi, ma con lo stesso peso.

a firma di:
Silvia Donat-Cattin, giornalista
ufficio stampa Fials

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