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TERZA ETÀ ED EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLA MEDICINA

Sanità

TERZA ETÀ ED EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLA MEDICINA

Potrà la medicina futura alleviare il peso della nostra vecchiaia?

Xavier Bichat, anatomista e patologo francese riconosciuto come il padre della istologia moderna, alla fine del ‘700 dichiarava in modo cinico che “la vita consiste nelle forze che resistono alla morte”. Bichat non ebbe il tempo di verificare la veridicità del suo postulato in quanto morì ad appena 31 anni.

Mi permetto oggi di modificare leggermente – ma anche profondamente – il suo aforisma; io sostituirei la parola “vita” con “vecchiaia”. Con questa modifica la frase mi sembra più azzeccata. Lo posso testimoniare in base alla mia esperienza. Quando ero giovane, anzi fino alla sessantina, mi sentivo inattaccabile, quasi destinato all’eternità. Il cervello comandava sul corpo, ne respingeva i segnali di stanchezza fisica ed anche di qualche acciacco più o meno aggressivo. Insomma, il cervello dominava la situazione, aveva un effetto placebo che permetteva di garantirmi un ritmo di vita elevato e quindi per me gratificante.
Poi le cose sono cambiate, lentamente e poi improvvisamente. Il corpo ha cominciato a prendere il sopravvento sul cervello, a condizionarlo, ad intimidirlo mandandogli segnali più o meno intensi ma molto spesso più allarmanti di quanto la situazione potesse motivare. Io non so misurare quanto il perverso rapporto osmotico tra cervello e corpo possa contribuire allo stato di latente malessere che pervade gran parte degli anziani. So soltanto che anche la definizione storica di Seneca: “la vecchiaia è in sé stessa una malattia” meriterebbe di essere corretta in: “la vecchiaia è in sé stessa un coacervo di malattie“.

Nonostante tutto, tutti gli uomini e le donne vogliono, anelano alla vecchiaia; nonostante il fatto che i ricordi di una vita passata, trascorsa diversamente, aggravino lo stato di presente frustrazione, nonostante il fatto che (ecco di nuovo Bichat!) gli anziani percepiscano che la loro più autentica attività si limita a resistere ogni giorno alla morte, spesso in situazioni di disagio economico, sociale e di carenza degli affetti. I nostri nonni – lo dicono le statistiche – campavano di meno; non godevano della nostra assistenza sanitaria (ne parleremo dopo) ma almeno godevano del calore affettuoso delle loro famiglie, in un tempo nel quale non esisteva alcuna frattura tra generazioni, in una convivenza stimolante fatta di contaminazione di esperienze, di tradizioni, di culture e di sentimenti.

Noi grazie alla medicina ci siamo riusciti. La nostra età media, nell’ultimo secolo è cresciuta a dismisura; anche per colpa della crisi delle nascite gli anziani saranno presto il 70% della popolazione; il diritto alla salute è stato riconosciuto come un principio fondamentale della nostra costituzione; i sistemi di diagnosi si sono fatti sempre efficaci e raffinati a tal punto da aver contribuito a creare una generazione istituzionalmente affetta da comorbilità.

E allora dobbiamo proprio ringraziare la Medicina per averci allungato la vita?!

Per averci trasportato in una stagione della nostra esistenza fatta quasi unicamente di “resistenza alla morte”? E non dico “resilienza” perché questo sostantivo – oggi se ne fa un uso smodato (un vero tormentone!) – comporta una successiva ripresa, un ritorno allo stato precedente; ipotesi che per la vecchiaia può essere esclusa categoricamente.

E allora la Medicina si assuma le proprie responsabilità e ripari il danno che ci ha procurato allungandoci la vita! Ce la renda anche più sopportabile.

Oggi il sistema di Assistenza Territoriale fa acqua da tutte le parti; trasferisce l’onere della assistenza alle Strutture, ai Pronto Soccorso che, oberati da compiti che non competono loro e che li distraggono dalla loro funzione istituzionale, sono sempre più permanentemente abitati da anziani. È venuto a mancare il contributo, anche emotivo, del nostro medico di famiglia; quello che ci conosce bene e sa come siamo e come dobbiamo essere trattati.

Potrà la Nuova Medicina, telematica e tecnologica porre rimedio al danno che ci ha procurato allungandoci l’esistenza? Dobbiamo essere positivi nel nostro pronostico. Infatti, la tecnologia sempre più applicata alle cure potrà colmare le carenze della medicina tradizionale, soprattutto quella del territorio.

L’Assistenza Virtuale, la Telemedicina, la istituzione del Tutor Personale (il caregiver anglosassone) agiranno virtuosamente ed efficacemente in ogni fase: educazione ai comportamenti e stili di vita corretti, prevenzione; monitoraggio, assistenza personalizzata ed a distanza; scambio di dati e di informazioni, interventi in remoto; robotica.

Contemporaneamente credo che i cittadini dovranno pazientare ancora un po’.

Gli anziani di oggi dovranno rassegnarsi. Sono la generazione di mezzo; quella che ha ricevuto più stress e difficoltà che vantaggi dalla digitalizzazione; quella non si è mai pienamente piegata all’informatica; quella che si sente in ogni occasione più debole ed indifesa nella richiesta di un servizio fornito soltanto in via digitale. Ma, lo sappiamo, le Generazioni si avvicendano; arrivano, rimangono un po’ e poi se ne vanno!

La nuova medicina sarà pronta ed efficace per i nativi digitali, per i nostri nipoti, quelli che sono cresciuti circondati da informatica e telematica. Loro sapranno essere pazienti attivi, partecipi vigili ai processi diagnostici e curativi, più consapevolmente consenzienti, come la futura medicina imporrà nel contesto del nuovo stile di vita più virtuale che fisico.

E noi anziani di oggi? Se saremo fortunati ci aspetterà una “bella crociera di fine vita” come il commediografo Simonetta ci aveva rappresentato nella sua opera predittiva.

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