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STORIA DI UNA RENNA

LA STORIA DELLA RENNA RUDOLPH, OVVERO: RIESCE L’ATMOSFERA DI NATALE NASCONDERE PER QUALCHE SETTIMANA L’INQUITÁ E L’INDIFFERENZA DEL NOSTRO SISTEMA?

Riceviamo e pubblichiamo questa lettera di una nostra affezionata lettrice straniera

Caro direttore,

vi seguo da quando avete iniziato le vostre pubblicazioni. Sono quindi una vostra fedele lettrice e per questo motivo mi sono permessa di trasmetterle questa mia lettera/protesta nella speranza che “chi di dovere” intervenga su una situazione di intollerabile iniquità che si trascina ormai da troppi anni.

Mi chiamo Rudolph, sono una femmina di renna e vivo con la mia famiglia nei pressi di un paesino, Karlsbourg, piazzato in Lapponia oltre il circolo polare artico.

La mia vita scorreva serena e felice finchè un giorno ormai lontano – era il mese di ottobre – fui avvicinata da un signore distinto con una folta barba bianca, vestito tutto di bianco (scoprii poi che non si trattava della sua divisa   di rappresentanza).

Pascolavo paciosamente, senza alcun pensiero in testa che non fosse quello di sorvegliare con l’occhio ansioso di madre i miei due cuccioli ormai svezzati ma ancora mammoni ed imprevedibili nella loro capacità di mettersi nei guai.

Nella tundra, come anche lei sa, le insidie sono tante; i lupi, gli orsi, i crepacci ghiacciati ed anche l’emulazione degli amici cuccioli più sprovveduti o temerari. Me ne stavo quindi, come dicevo, con un occhio vigile e con l’altro ad individuare i licheni più teneri da ruminare con sapiente e meditata lentezza quando quel signore  mi si avvicina e mi saluta affabilmente chiedendomi se ero di quelle parti. Gli chiedo con un bramito il motivo di questa domanda e lui mi spiega che è un imprenditore qualificato del posto nel settore del “delivering”; continua precisando che ha un appalto per le consegne sottoscritto con una Organizzazione molto in alto; e ripete con aria complice stringendo gli occhi astuti: “molto in alto”.

Non mi permette di replicare quello che avrei voluto: “e allora? Non crede che questo fatto potrebbe interessarmi meno che poco?” perché Lui continua: “sto rafforzando la mia organizzazione e sono convinto che lei potrebbe costituire una valida risorsa per migliorare la qualità del mio servizio. Le piacerebbe entrare a far parte del mio staff? si tratta” mi dice” di una attività qualificata di consegna in tutto il mondo con un collaudato mezzo aeronautico fornito dalla ditta”.

L’uomo sembra affidabile; la proposta appare interessante. E, in aggiunta: chi non ama essere prescelto ed apprezzato? D’altra parte, rifletto, un altro stipendio fa sempre comodo in famiglia. Queste probabilmente sono le uniche attenuanti alla mia affrettata decisione di aderire. Lascio in custodia i miei cuccioli a mia cugina e lo seguo.

Arriviamo nel villaggio di Ronaiemi dove c’è la sede della sua azienda. Intanto Lui mi dice il suo nome: Santa Klaus; mi racconta la sua storia, mi dice che in realtà lui non è di quelle parti; è un migrante; viene dalla Turchia; è prima sbarcato a Bari, nel sud dell’Italia, ma non c’è rimasto per molto; la sua meta era un’altra: il Nord; qui ci si trova a suo agio con la gente e con l’ambiente; qui ha trovato un lavoro remunerativo ed ha costruito il suo piccolo impero. Si; dice proprio: “il mio piccolo impero”.

Mi presenta le mie colleghe; sono otto renne ormai esperte nel loro lavoro; mi accolgono con affettuoso entusiasmo; poi scoprirò che quell’entusiasmo era più interessato che affettuoso: una in più a trascinare la slitta riduce anche se di poco la fatica!

Entriamo nell’edificio; c’è un brulicare isterico di attività; un gran numero di piccoli umani -li chiamano elfi – che non sembrano delle nostre parti. Saranno forse migranti come il Capo? Osservo una serie di nastri trasportatori  carichi di oggetti di qualsiasi tipo; ci sono molti giocattoli ma non solo; ci sono telefonini, abiti, profumi, libri, elettrodomestici e tanto altro. Il Capo mi spiega che il lavoro è cresciuto esponenzialmente da quanto il consumismo più bieco ha invaso le abitudini dell’umanità. Da quel momento ogni cosa presentabile, anche di dimensioni notevoli, viene lavorata, confezionata e spedita qui.

Ma immediatamente il Capo cambia atteggiamento ed espressione della voce; mi dice: “su allora al lavoro; fatti spiegare da una delle tue colleghe quale è il tuo compito”.

Ed ora vi spiego quale è il mio lavoro, la mia posizione e quello delle mie colleghe.

In primo luogo vi dico che io sono una precaria; il mio capo mi ha fatto sottoscrivere un contratto di libera collaborazione e sono quindi anch’io una “partita IVA” senza diritti, senza contributi, senza assistenza sanitaria. Se mi azzoppo rimango a casa e non percepisco nulla; lo straordinario non mi viene riconosciuto, tanto meno quello festivo o quello notturno. Una volta è arrivata una visita dell’ispettorato del Lavoro che ha chiesto cosa ci facevano quelle renne nello stabilimento; abbiamo risposto, quasi in coro, che eravamo di passaggio perché generosamente Santa Klaus ci consentiva di brucare nel terreno di fronte. L’ispettore assentendo ci ha detto: “ la bontà di santa Klaus è nota in tutto il mondo. Dovete essergli grate nel profondo del cuore”. e noi abbiamo risposto ancora una volta in coro che ne eravamo ben consapevoli!

A parte la nostra precarietà rimane il fatto che i miei turni di lavoro sono massacranti; le pause sono poche e corte. Devo occuparmi della manutenzione della slitta; devo condurre la slitta (sono il capo branco) in tutto il mondo, a tutte le ore, con qualsiasi situazione meteorologica. Quando c’è la nebbia il mio naso rosso viene utilizzato senza alcun compenso per migliorare la visibilità. Nessuno sa che la nostra attività di renne non si limita alla consegna dei doni nella notte di Natale ma anche al ritiro dei prodotti presso le case produttrici; si tratta di un lavoro veramente pesante che occupa parecchi mesi; il jet leg mi sconvolge i sensi; si passa dal caldo umido tropicale al freddo continentale. Credo che pagherò tutto questo con una vecchiaia piena di acciacchi. E poi c’è la questione dei “resi” per i quali mi occupo di contattare il cliente, capire il motivo della “resa”, sostituire il prodotto e consegnarlo a domicilio.

In aggiunta c’è il lavoro per gli spot pubblicitari. La Coca Cola è il nostro più importante cliente, ma non l’unico; si tratta di girare filmini stucchevoli con scene, di solito ripetute all’inverosimile, costruite con l’intento di circonvenire la gente in questa atmosfera costruita ad arte in laboratorio.  Quindi contesto anche il mancato pagamento delle royalties per esempio sulle mie corna di tessuto da porre sulla testa dei cani da salotto, sull’immagine riprodotta sui maglioni degli sciatori; e inoltre i mancati diritti d’autore sulla mia canzone natalizia “red nosed reindeer” che macina per qualcun altro utili fin dal 1939.

Ma a Natale il Capo si veste di rosso e assume un atteggiamento falsamente bonario nei confronti del suo personale; ci offre un rapido brindisi fatto di succo di licheni. Ma subito dopo ci richiama all’ordine e scandisce ritmi di lavoro da nave galeotta.

Insomma  sono trattata peggio dei riders che popolano le vostre città; almeno quelli hanno conquistato un contratto di lavoro regolare; siamo peggio quasi dei migranti raccoglitori di pomodori nella piana di Aversa.

Allora, caro direttore, lei si chiederà per quale motivo io non abbia presentato le mie dimissioni. In verità tante volte sono stata sul punto di darle. Ma poi ho desistito, per almeno un paio di motivi. Glieli spiego: in primo luogo per un motivo economico: il mio compagno mi ha lasciato per una giovane renna e la vita con due cuccioli è dura; ho bisogno del compenso di Santa Klaus. Ma il motivo più importante è un altro: vivere da protagonista l’atmosfera di Natale mi rende per un po’ di tempo felice. Mi dimentico di essere sfruttata, godo con la lettura delle letterine di Natale, vedo cose belle anche se non saranno mai mie; mi compiaccio alla vista dei volti sorpresi ed entusiasti dei bambini. E per tutto questo mi sento privilegiata e non l’ultima nella scala dei “dimenticati”.

E non dispero che un giorno il datore di lavoro, il Principale di Santa Klaus venga giù a tiragli le orecchie ed a ristabilire un po’ di equità

Rudolph Poro                                                                           Polo Nord 24 dicembre 2021

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amedeo
amedeo
28 Dicembre 2021 12:57

molto bella ed interessante

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